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Testamento biologico: è l'ora di aggiornarci agli altri paesi

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(Fonte Internet)

Dopo una pausa di circa due anni, ritorna al voto in parlamento, proprio in questi giorni, nel silenzio più assoluto di tv e stampa, il dibattito sul cosiddetto testamento biologico.
L'argomento è delicato e il dibattito, nonostante non si sia mai trovata alcuna sintesi legislativa, affonda le sue radici, almeno in Italia, addirittura nei lontani anni settanta. Le cosiddette “tecnologie della sopravvivenza” hanno posto, in modo sempre più urgente, gravi interrogativi sui limiti dell'accanimento terapeutico, cioè di quell'insieme di iniziative clinico-assistenziali, di carattere piuttosto eccezionale, che vengono attuate intorno a un malato terminale, cioè in condizioni gravissime o già piuttosto prossimo alla morte, e perfino sull'eutanasia.
La prima forma di eutanasia era stata chiesta nel 1969 dall'inglese Lord Raglan alla Camera dei Lords con il
Voluntary Euthanasia Bill il cui scopo era quello di autorizzare i medici a dare l'eutanasia ai pazienti che l'avessero richiesta, ma era poi stata respinta. Dalla cosiddetta eutanasia “attiva”, cioè attuata, generalmente mediante aiuto del sanitario, con il ricorso a sostanze narcotiche o tossiche, somministrate in dosi mortali, a quella “passiva”, trattandosi di omissione di soccorso, con la sospensione delle terapie ordinarie e ancora perfettamente utili a un miglioramento di condizioni, o almeno a bloccare il processo patologico del male. 
Aiutare a morire “bene” e senza sofferenza
è un compito del medico? Turbare l'ordine biologico significa manipolare la vita e la morte umane? Quali sono le definizioni di vita e di morte nella biologia e nella medicina contemporanee e quali i problemi scientifici, etici e normativi dell'accertamento di morte? Certo, senza codificare nulla, casi più o meno diffusi di eutanasia si sono sempre praticati negli ospedali, affidando tutto solo al senso di pietà del personale coinvolto. Ma, mentre la scienza medica è andata molto avanti nella terapia anti-dolore, la scienza sociale non ha ancora saputo affrontare seriamente il problema di come attrezzarsi rispetto allo stato irreparabile del singolo. Per non parlare poi della politica.
Da quando il solito deputato socialista Fortuna, nel dicembre 1984, aveva proposto le
Nome sulla tutela della dignità della vita e disciplina dell'eutanasia passiva, fondate sul principio del rifiuto del malato, richiesto esplicitamente, ad essere sottoposto ad accanimento terapeutico, il dibattito, che ha avuto toni finanche più accesi dei tempi dell'aborto, non si è mai fermato. Per il fronte laico non è lo stato ma il singolo individuo (o eventualmente i suoi familiari) che può decidere sulla sua eventuale morte. 
Il dibattito che si
è sempre contraddistinto per alto tasso di dottrina giurisprudenziale ha apparentemente spaccato in due l'opinione pubblica ed ha avuto una accelerazione dopo le vicende di Welby, Coscioni ed Englaro. Con delle sfumature: possibilisti Pd, una parte del Terzo Polo, contrari Pdl, destre, Lega, Udc, favorevoli radicali, socialisti, liberali, Idv, Sel e Fds.
Per la Chiesa (salvo qualche teologo pi
ù progressista) tutte le iniziative proposte, che vanno dalla soppressione silenziosa prima che il malato si accorga di morire, alle più ingegnose metodiche di trattamento clinico per prolungare, anche solo di poco, la vita che sta spegnendosi in modo naturale, sono da considerarsi alla stregua dell'omicidio doloso, senza consenso della vittima.
Nel nostro paese, stando all'ordinamento, l'eutanasia attiva viene assimilata all'omicidio volontario. In caso di consenso del malato
è prevista la reclusione con pena dai 6 a 15 anni. Anche il suicidio assistito è considerato reato. Negli altri paesi, l'eutanasia passiva e il testamento biologico sono permessi, con modalità diverse, in Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Svizzera, Lussemburgo, Australia, Canada, Cina, Stati Uniti, mentre il Inghilterra e Germania il suicidio assistito non è considerato reato.
Se per
ò andiamo oltre le posizioni (strumentali e ideologiche) presentate dai fronti contrapposti, ci accorgiamo che accade la stessa dinamica verificatasi nel caso di vicende fondamentali nel processo di secolarizzazione della società italiana, come divorzio e aborto. Secondo i più recenti sondaggi gli italiani non sarebbero poi così divisi: sono favorevoli per il 75% all'eutanasia passiva e al testamento biologico e più del 90% sostiene che sia necessario superare l'attuale normativa vigente, assolutamente anacronistica.
Alla Camera, in questi giorni, la maggioranza, con l'appoggio esterno dell'Udc, incurante dei pareri di autorevoli giuristi, sta andando in direzione opposta. Nega infatti il diritto di rifiutare trattamenti come l’alimentazione e l’idratazione forzata, escludendone il carattere terapeutico, e d
à il potere decisionale più al medico che non al paziente. 
Ora, su un argomento cos
ì delicato è evidente che sarebbe bene evitare i frontismi e le contrapposizioni troppo aspre. Ma, pur lasciando comunque libertà di scelta alle singole coscienze, ogni forza politica degna di questo nome dovrebbe esprimere una sua posizione ufficiale, chiara, senza ambiguità, e contribuire al dibattito per il superamento e non certo per l'arretramento della legislazione vigente, adeguandola e aggiornandola agli altri paesi europei più avanzati. 

Fonte: “Linkiesta”

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Habemus Papam

Ieri ho visto l'ultima fatica di Nanni Moretti. Si tratta di uno dei pochi registi che con i suoi film ci ha abituati, da tempo, a interrogarci, in modo provocatorio, irriverente e ironico, a tratti surreale, su importanti e decisive tematiche del nostro tempo. Sulle ossessioni del Sessantotto e il malessere psicologico della vita post-moderna, sulla crisi delle ideologie dei partiti e in particolare del Pci e poi del centro-sinistra, sulla crisi dello stato di diritto e sull'opulenza e arroganza di un certo potere politico ed economico, sul significato della vita e della morte. Stavolta si cimenta a descrivere la crisi della chiesa e del mondo cattolico, in piena età di secolarizzazione ormai avanzata. Per la verità già in La messa è finita aveva indagato sulla crisi di un sacerdote di provincia intransigente,
depresso e demotivato per l'impossibilit
à di riuscire a cambiare le cose e le persone attorno a lui.
Adesso per
ò allarga la questione addirittura alla massima personalità che rappresenta quel mondo, traendo spunto, nel tratteggiare il personaggio del papa, da alcuni dati biografici dei papi precedenti, attentamente dosati e sfumati. Viene fuori in modo autentico e spontaneo, con passaggi di alto lirismo e di acuta ironia, il dilemma della fede (non solo religiosa ma più in generale nelle idee) in sospeso, l'amore per l'umanità e il mondo visto però come dichiarazione di impotenza al mutare delle cose, la sostanziale solitudine di ognuno, il tentativo di fuggire alla proprie responsabilità, dopo tante infinite e ardue prove di volontà e impegno. Non era facile cimentarsi con un tema del genere senza scadere nel ridicolo o, di contro, nel serioso. Moretti ci mostra che esiste un ineluttabile punto di vedere le cose che può sempre chiamarsi critico. Basta mettersi a guardare di là, il mondo, gli uomini, i personaggi, che ci appaiono nel loro congegno interiore, e poi gli avvenimenti, la vita, che si spiegano da soli nell'incontro automatico dei singoli meccanismi. E' quanto accade nel dramma personale dell'uomo papa che si intreccia con l'ansia e le paure dei tanti, i cardinali e la gente che aspettano una guida, come per liberarsi da un peso. In questi casi il compito dello spettatore (così come nel caso del lettore per un libro di quelli di questa specie) diventa il più facile del mondo: acquisire e rielaborare, dal suo punto di vista, il materiale, emozioni e riflessioni, che il regista gli ha gentilmente fornito. In questo caso l'autobiografia si mescola chiaramente con l'analisi psicologica, con l'esplorazione interiore dell'uomo, senza concedere nulla all'esterno, alla politica per esempio, alla stessa religione intesa in termini di superficie e di apparenza. E anche l'evento macroscopico della cosiddetta fine della chiesa, fotografata nell'ultimo passaggio, quello dell'annuncio davanti al mondo intero della propria impotenza e impossibilità a svolgere un ruolo di enorme responsabilità e importanza, come quello di un papa, passa decisamente in secondo piano.
Al di l
à delle statistiche impietose, che vorrebbero, a fronte del 97% dei battezzati in Italia nel 1983 ben il 60% si dichiarava del tutto indifferente all'insegnamento religioso, percentuale cresciuta ancora al 75% nel corso dell'ultimo ventennio, l'interrogativo che emerge non è tanto se la chiesa come istituzione sia utile o meno al giorno d'oggi, ma se essa, completamente rinnovata e aperta al mondo, potrebbe avere un ruolo per la formazione delle nuove generazioni. Una cosa è certa. Opere come questa, a mio avviso, incidono più di centinaia di trattati e dissertazioni, di note episcopali e via dicendo. Le parole e le immagini possono, in casi rari, se la coscienza arricchisce, se si sollecitano riflessioni e si auspicano significati nuovi, essere esse stesse fatti. E comunque, per il solo fatto di porre interrogativi, suscitare scandalo, dividere l'opinione pubblica, Moretti, passando dal Caimano ad Habemus Papa e agli altri suoi film, dimostra che l'intellettuale forse può ancora avere un senso in questa triste e sempre più conformista società.

moretti
(Archivio Alinari)

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