Caso Moro. Frammenti di una verità indicibile

Fermarci a capire cosa sta dietro la fine di Aldo Moro può aiutarci a riflettere, come ha ricordato Giovanni Moro, sui cosiddetti “fantasmi” degli anni settanta. Cinque processi e due commissioni parlamentari di inchiesta non sono riusciti a fornire risultati significativi per ricostruire la complessiva dinamica del sequestro e dell’uccisione di Moro. Tuttavia, anche la maniera in cui la storiografia ha affrontato, salvo rari casi, la vicenda, senza riuscire a fornirne una credibile interpretazione politica complessiva che tenga conto del macronodo relativo ai rapporti tra la dimensione nazionale e internazionale, è emblematica della difficoltà nell’affrontare la lunga crisi degli anni settanta e
i veri motivi della fine della prima repubblica.
Se si vuole cominciare a consegnare ai posteri, con un minimo di credibilit
à, la vicenda di Moro, sicuramente la più drammatica della storia repubblicana, occorre riportare in primo piano il confronto ravvicinato con la documentazione contemporanea all’avvenimento (soprattutto le lettere e i documenti di Moro), intrecciandola con le testimonianze successive dei suoi più importanti protagonisti, in modo da far emergere tutta la complessità della questione.
A dispetto dei facili slogan, una cosa appare chiara: le Br furono, per loro stessa ammissione, gli esecutori materiali della condanna a morte di Moro, ma non gli unici a provocarla. A suffragare questa affermazione sono giunte, a venti e trenta anni di distanza da quel fatidico 9 maggio 1978, due aperte ammissioni di co-responsabilit
à: la prima di Francesco Cossiga, allora ministro degli Interni, che in un articolo del 1998 ha affermato di aver “concorso, sul piano dei fatti, alla morte di Moro”; la seconda, avanzata da Steve R. Pieczenik, perito americano e uomo di fiducia di Henry Kissinger, che, in un volume del 2008, ha sostenuto di aver contribuito all’uccisione di Moro. Più nel dettaglio, Pieczenik ha affermato che la sua missione in Italia, durante la vicenda, volta al recupero di eventuali documenti che potessero mettere in pericolo il segreto di Stato in Italia (e lo stretto legame del nostro paese con la Nato), prevedeva il mantenimento in vita dell’ostaggio; tuttavia, dopo le affermazioni di Moro e il tono delle sue lettere dalla prigionia, egli si rese conto che non poteva esserci più alcuna volontà da parte del governo e della Dc di salvargli la vita e quindi fu indotto ad avallarne l’estremo sacrificio.
Detto questo, nonostante le rivelazioni di illustri testimoni e le dichiarazioni dei brigatisti, come si capisce bene, il quadro
è apparso sempre molto più complesso e diversificato di quanto non ci inducano a pensare i crudi e singoli fatti appurati. L’immagine più calzante sembra averla data uno dei più stretti collaboratori di Moro, Corrado Guerzoni: “Ė come quando si getta un sasso in un lago. Il sasso va subito a fondo, in superficie si formano dei cerchi concentrici, ognuno dei quali ha un forma e una vita sue proprie”. A rileggere gli eventi, sulla base di documenti, carte, lettere, rivelazioni, audizioni, articoli, emerge tutta la complessità della vicenda, che però si potrebbe sintetizzare (senza voler apparire semplicistici, e a patto di poter argomentare con cura gli intrecci degli eventi) in questi termini: Moro è stato sequestrato e ucciso dalle Br, ma in accordo, di fatto, con i suoi nemici interni al governo e non, dentro le istituzioni e non e con i nemici internazionali della sua politica. Sembra, infatti, alquanto azzeccato per questa tragica storia, il titolo, che fu già di un famoso romanzo, Cronaca di una morte annunciata.
Vediamo allora chi furono, protagonista per protagonista, questi nemici o comunque “finti amici” di Moro, con l’ausilio della documentazione finora in nostro possesso, provando a intrecciare i tanti elementi utili forniti dai volumi pubblicati in questi circa trent’anni, che evidentemente non sono stati finora collegati e letti in maniera tale da poter fornire un’interpretazione unitaria della vicenda o anche solo da riuscire a far emergere tutti gli aspetti pi
ù ambigui e, come tali, inquietanti di questa storia. Va tenuto presente infatti che dove i risultati di una commissione di inchiesta e di indagine non potranno mai giungere, per ragioni tecniche ma anche politiche, può invece arrivare l’analisi storiografica e la riflessione intellettuale, quanto più possibile distaccata dai risvolti direttamente ideologici di quei fatti [...]
(Tratto da:
“Italia contemporanea”, n. 255)

moro
(Fonte Internet)

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