Le ammucchiate trasformistiche cominciarono con Depretis

depretis
Fonte: Linkiesta

È mai possibile che in Italia non si possa desiderare che ad opporsi in una sana e competitiva dialettica politica ed elettorale, siano, da un lato, una coalizione di centro-sinistra, laica, socialista e riformista, che eviti magari di inglobare in sé, incredibilmente, i peggiori vizi del centralismo democratico comunista e dell'interclassismo democristiano di un tempo, e, dall'altro, una coalizione di centro-destra, caratterizzata da idee democratico-liberali, e non fondata, invece, solo su posizioni populiste se non addirittura eversive? Come ha sostenuto recentemente su queste pagine, Massimiliano Gallo, nella tragica situazione in cui versiamo, finisce per diventare quasi rivoluzionaria la soluzione da sempre più consolatoria, che diventa la meno traumatica, cioè quella di pensarsi tutti un po' democristiani.
In realt
à la risposta a questa tragica domanda retorica ce la fornisce, come sempre, la storia. 
Trasformismo e grandi ammucchiate politiche sono meccanismi che noi italiani conosciamo bene, anzi si potrebbe quasi dire che li abbiamo inventati. Certo, se
è vero che il trasformismo, politicamente parlando, è sempre stato praticato fin dai tempi della nascita del nostro stato, è anche vero che in Italia le grandi coalizioni non sono mai andate troppo di moda. Come dire: i cavalli passano direttamente da una scuderia all'altra.
In tutti i partiti e in tutte le epoche, per
ò, dalla destra storica alla sinistra costituzionale, dai liberali giolittiani ai democristiani, dai socialisti fino ai post-comunisti, il vizio di abbandonare la dialettica vibrante e lo scontro parlamentare su precisi e solidi progetti politici alternativi, per annacquare nel moderatismo e nel conformismo l'attività politica ordinaria, è sempre stato un sport molto praticato.
E non ci si riferisce tanto alle svilenti pratiche di passaggio da un partito o da un gruppo politico all'altro, verificatesi dai tempi dei Minghetti, negli anni ottanta dell'Ottocento, per arrivare fino al trasformista post-moderno Scilipoti. Quanto al continuo e stucchevole richiamo allo spirito di sacrificio durante momenti di emergenza nazionale, che sia economica, sociale o addirittura questione letteralmente di vita o di morte, come ai tempi del terrorismo, poco importa. In realt
à, i cambiamenti di linea (e di casacca da parte dei parlamentari) all'interno dei due schieramenti, così come l'allineamento su politiche moderate o di centro, rese simili a prescindere dalle differenze politiche, con lo specchietto per le allodole rappresentato dall'emergenza, sono dettati solo dalla necessità di catturare il consenso di alcune influenti componenti del mondo della finanza e della grande industria, nazionali o internazionali.
Questa convergenza tra posizioni diverse non riguarda, di solito, programmi e progetti politici a lungo termine, ma problemi specifici e circoscritti, ed
è raggiunta attraverso accordi e favori elargiti anche a singoli parlamentari, con la scusa che è necessaria l'unità d'intenti e, a parole, il sacrificio di tutti i cittadini. Pur di evitare il confronto aperto, l'alternanza decisa e ruvida tra le due coalizioni, si ricorre alle scuse più incredibili. E non è solo questione di sistema elettorale, con buona pace dei fini politologi, ma di cultura politica. Già un errore di valutazione in questo senso è stato commesso nel 1994, quando il presunto passaggio dal vecchio al nuovo, dalla Prima alla cosiddetta Seconda Repubblica, venne affidato, unanimemente da tutti i soggetti politici, all'idea che una semplice riforma elettorale di tipo maggioritario bastasse a regalare al paese una democrazia dell'alternanza. L'idea alla base era la seguente: con lo stesso meccanismo mentale per cui è possibile esportare la democrazia occidentale in oriente senza corpo ferire, altrettanto si sarebbe potuto trapiantare un sistema elettorale straniero nella nostra vita politica. Questa idea, oggi lo si può dire senza timore di smentita, si è rivelata del tutto illusoria. Gli uomini e i contesti sociali contano molto più dei modelli teorici. Oggi che il rito è stato consumato e il miracolo non è avvenuto, tutti dovrebbero rifletterci su.
Vediamo un po', allora, cosa
è successo in Italia, a proposito di trasformismi e larghe intese, nel corso della storia d'Italia. Questo ci permette di capire il vero motivo per cui l'alternanza da noi continua a rimanere un sogno lontano e la dura realtà è invece tutta amaramente democristiana. Realtà simboleggiata, meglio di qualsiasi altra cosa, dalla probabile compresenza dei due Letta, Gianni ed Enrico, nell'esecutivo tecnico in formazione.
Il primo tentativo trasformistico di grande ammucchiata fu quello messo in atto dall'ex mazziniano Agostino Depretis, esponente della Sinistra costituzionale che, nel 1887, incluse nel suo governo esponenti della destra storica. Puntando inizialmente sull'appoggio delle masse popolari scontente dei precedenti governi, Depretis apriva alla borghesia imprenditoriale e agraria, alle grandi industrie, guardando alle nostalgie borboniche dell'elettorato del sud. I provvedimenti presi sull'onda della necessit
à di fare sacrifici furono niente meno che l'imposta sul macinato, la decisione di non nazionalizzare le ferrovie, per dare un contentino ai gruppi dei costruttori ferroviari, la scelta di ampliare le spese militari per accontentare la monarchia. Si mescolavano a misure come l'allargamento del suffragio elettorale e l'istruzione elementare gratuita, a dimostrazione di un intento altamente demagogico.
Nel secolo XX, non sono mancati altri esempi di grandi coalizioni in fasi di particolare difficolt
à del paese. Dopo la fine del fascismo e della guerra, tra enormi difficoltà psicologiche e materiali, in previsione della nascita della Repubblica italiana, veniva varato il cosiddetto governo di “unità nazionale”. Alla caduta del governo Parri, infatti, nel dicembre 1945, nasceva il primo governo di Alcide De Gasperi, con l'appoggio di comunisti socialisti e democristiani, tutti insieme appassionatamente. A dispetto delle solenni dichiarazioni, nei fatti, la politica economica e fiscale era subito affidata al ministro del Tesoro, il liberale Corbino. I provvedimenti che questa coalizione, seppure tra mugugni e diffidenze, prendeva erano i seguenti. Venivano smantellati i controlli sulle attività finanziarie. Erano abolite le imposte sui redditi da azioni e obbligazioni. Era dimezzata l'imposta sul trasferimento di azioni. Venivano liberalizzati i cambi. Era contenuta la spesa pubblica. Crescevano incontrollati i redditi bancari. Erano sbloccati i licenziamenti. Veniva concessa, infine, agli esportatori la libera disponibilità del 50% della valuta ricavata.
Alla fine degli anni Settanta, in piena fase di esplosione del terrorismo, e in concomitanza con il sequestro Moro, nasceva il cosiddetto “governo di solidariet
à nazionale”, detto anche “dell'emergenza”. Era presieduto da Giulio Andreotti e veniva votato da democristiani, socialisti e comunisti, anche stavolta, tutti insieme appassionatamente. Quali provvedimenti varava questo capolavoro di strategia politica e quali risultati portavano? È presto detto. Venivano bloccati i salari, con l'ammorbidimento delle posizioni dei sindacati. Era favorita la mobilità del lavoro. Venivano tagliate fortemente le spese sociali. Venivano fatti accordi sulle nomine dei vertici delle aziende di stato, degli organi direttivi delle più importanti banche, equamente divisi tra i partiti. Lo stesso accadeva per la Rai. Aumentava la pressione fiscale, mentre i prezzi aumentano più del costo del lavoro.
All'inizio degli anni novanta, in concomitanza con Tangentopoli e con la permanenza del nostro paese in Europa, dopo l'accordo di Maastricht, sempre con la solita tiritera dei sacrifici, in una situazione oggettivamente allarmante, dal punto di vista economico e finanziario, per il nostro paese, veniva formato il governo di Giuliano Amato del 1992. Era appoggiato da democristiani, socialisti, liberali, con l'avallo silenzioso degli ex-comunisti. Si dava inizio, cos
ì, ad una manovra da 30 mila miliardi di lire, fondata su tagli della spesa e nuove tasse, in particolare con il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti, con la patrimoniale, la liberalizzazione degli affitti, la fine dell’equo canone, l’aumento dell’età pensionabile, la detassazione degli utili reinvestiti e un piano di privatizzazioni. Qualcuno disse che in quell'occasione si salvò addirittura il paese. Ma si sa, in Italia, non c'è mai limite al peggio. Per cui, oggi, ci risiamo.
Dopo la (presunta) fine del berlusconismo, in una situazione finanziaria internazionale e italiana di gravissima entit
à, si preannuncia la formazione di un governo tecnico a guida Mario Monti, o anche, eventualmente, di “larghe intese”, che coinvolgerebbe centro-destra, terzopolisti e centro-sinistra in una grande ammucchiata. Anche in questo caso, le misure annunciate, almeno se ci rifacciamo direttamente gli ultimi interventi pubblici dell'economista sul Corriere, parrebbero preannunciare lacrime e sangue per i cittadini italiani. E cioè ridimensionamento drastico del welfare sul recente modello inglese (31 ottobre 2010). Modello Marchionne nei rapporti tra aziende e lavoratori, nonché conferma della riforma Gelmini su scuola e università (2 gennaio 2011). Liberalizzazioni e modifica dell'art. 41 della Costituzione (6 febbraio). Riduzione della spesa pubblica (3 luglio). Rafforzamento della linea di disciplina fiscale di Tremonti (14 luglio). Poi certo, ci sarebbe da far ripartire la crescita economica, la produzione industriale, da colpire drasticamente le posizioni di privilegio della politica e delle rendite, ma il nucleo fondante sembra già delineato. E purtroppo, si sa, quanto si tratta di far fare sacrifici ai cittadini, le forze politiche trovano sempre subito l'accordo, ad ogni epoca.
Ora,
è evidente che, nel corso degli anni, dall'unità fino ad oggi, questi esempi di grandi coalizioni e di larghe intese hanno rappresentato casi limitati, sia numericamente che cronologicamente. Sia ben chiaro, non è la norma, per fortuna, bensì l'eccezione. Nell'intervallo di tempo intercorso tra questi esperimenti trasformistici, infatti, ci sono stati anche governi più o meno solidi, più o meno compatti, marcatamente di destra storica o di sinistra costituzionale, governi a guida liberale o governi dichiaratamente fascisti, monocolori democristiani o governi di centro-sinistra organici, esecutivi di centro-destra berlusconiani e di centro-sinistra prodiani, o ulivisti che dir si voglia, che si sono combattuti apertamente in parlamento e nel paese. Per questo motivo, è bene tenere alta la guardia della democrazia, contro tutti i trasformismi e tutte le ammucchiate possibili. Ed è bene che la speranza di provare ad essere un paese normale in cui si confrontino progetti e idee sul mondo e sulla società italiana veramente alternative non muoia. Mai. 

Fonte: Linkiesta

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